Quanto sono importanti Parchi e Aree protette per la biodiversità in Europa?

17. maggio 2018

Uno studio dell’Università di Bologna ha esaminato per la prima volta il valore delle principali aree naturali europee per la protezione delle specie animali e vegetali a rischio

Green Report - Lo studio “Uniqueness of Protected Areas for Conservation Strategies in the European Union” pubblicato su Scientific Reports da un team di ricercatori, tedeschi e britannici e dagli italiani Antonello Provenzale del Cnr e Alessandro Chiarucci dell’università di Bologna, che per la prima volta ha esaminato il valore delle principali aree naturali e dei principali parchi nazionali europei per la protezione delle specie di interesse conservazionistico  parte dal fatto che «L’area del Mediterraneo e le Isole Canarie, ma anche l’arco alpino e l’Europa Centrale: sono le regioni dell’Unione Europea che ospitano le aree protette più preziose per la conservazione della biodiversità».

Infatti lo studio ha preso in esame le principali aree protette d’Europa e analizzato la distribuzione al loro interno delle specie animali e vegetali a rischio. All’università di Bologna spiegano che «In totale, sono stati analizzati i dati di 1303 specie (469 specie di uccelli, 105 di pesci, 93 di mammiferi, 49 di anfibi, 73 di rettili, 111 di artropodi, 20 di molluschi, una di altri invertebrati, 32 di piante non vascolari e 350 di piante vascolari) all’interno di 432 parchi europei. Tra questi, ci sono anche 35 aree italiane, tra parchi nazionali e siti Mab, le Riserve della biosfera individuate all’interno del programma Man and the Biosphere dell’Unesco. Obiettivo dello studio era calcolare il valore conservazionistico, in termini di unicità a livello europeo, delle singole aree protette. Per farlo, il gruppo di ricerca ha messo a punto una serie di metodologie pensate per misurare quanto ogni area contribuisce alla conservazione sia delle singole specie analizzate che dei raggruppamenti tassonomici (uccelli, pesci, mammiferi, ecc.), Nonostante i numerosi sforzi compiuti negli ultimi decenni, infatti, ancora molto lavoro rimane da fare per capire sia la reale dimensione della biodiversità e la sua distribuzione geografica che, soprattutto, la reale possibilità di preservarla sul lungo periodo».

Chiarucci, che ha coordinato lo studio,  sottolinea che «La riduzione dello spazio a disposizione dei processi ecologici naturali è una delle principali cause di perdita di biodiversità. Riuscire a dare un valore di importanza alle singole aree per la conservazione della biodiversità rappresenta quindi un passo fondamentale per implementare le possibilità di conservazione della biodiversità sul lungo termine».

Anche perché, come ricordano all’UniBo, «Le trasformazioni del territorio causate dalle attività umane stanno mettendo profondamente a rischio la biodiversità del pianeta, tanto che alcuni studi suggeriscono che una proporzione significativa delle specie attualmente esistenti, forse perfino la metà, scomparirà entro questo secolo». Chiarucci aggiunge: «Questa ricerca ha permesso di sviluppare, oltre ad un’analisi dello stato di fatto, anche una metodologia statistica che potrà essere ripetuta quando nuovi e più accurati dati saranno eventualmente disponibili. Uno dei problemi principali di questo tipo di analisi è infatti rappresentato dalla disponibilità di dati di qualità sulla presenza (o l’assenza) delle specie dentro le singole aree protette».

Una mancanza che riguarda anche l’Italia, influendo sui  risultati finali.«Il nostro Paese, pur essendo ricco di biodiversità, necessita ancora di molti studi sia per conoscere la situazione distributiva reale di molte specie che per individuare i loro trend temporali».

Per molti indici considerati dallo studio emerge il notevole valore a livello europeo di alcune aree italiane, come il Parco del Golfo di Orosei e del Gennargentu, o i siti Mab di Selva Pisana e delle Alpi Ledrensi e Judicaria, mentre molte altre aree, pur ricche di biodiversità, fanno invece registrare valori bassi, molto probabilmente a causa della carenza di dati disponibili.

I ricercatori suggeriscono che «Per poter lasciare alle generazioni future una parte intatta (o quasi) del patrimonio naturale del pianeta, sarebbe fondamentale riuscire a pianificare un sistema di aree protette che permetta nel suo complesso il naturale svolgimento dei diversi processi ecologici».

All’UniBo concludono: «Le aree protette rappresentano un elemento chiave per questa strategia ed è importante che anche le politiche conservazionistiche del nostro Paese facciano la loro parte». 

Qui potete leggere l'articolo originale di Green Report.

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