Intelligenze bestiali
07. dicembre 2017
Azione.ch - Hugin è un corvo imperiale e «lavora» al computer presso una stazione di ricerca in Austria. Le formiche tagliafoglie si organizzano in una sorta di piramide che, da terra, permette loro di raggiungere la corolla di un fiore. Gli scimpanzé sanno trasportare sassi che poi utilizzano come strumenti, ad esempio, per spaccare noci. La gorilla di pianura Koko è nata il 4 luglio del 1971 e ha vissuto sempre insieme alla dottoressa Francine Patterson che le ha insegnato il linguaggio dei segni e il significato di oltre duemila parole, riuscendo a comunicare con lei. Le orche sono famose per utilizzare vere e proprie strategie di gruppo contro le loro prede. E ancora: lo scorso mese di luglio la rivista «Science» ha pubblicato uno studio (diretto da Can Kabadayi dell’Università svedese di Lund) a dimostrazione del fatto che i corvi, come gli umani e le grandi scimmie, sono capaci di anticipare il futuro.
È già noto da precedenti ricerche che questi uccelli sono in grado di utilizzare gli strumenti necessari per nutrirsi e di inventarne di nuovi se necessario. Nello specifico, lo studio di Kabadayi ha dimostrato che i corvi sanno rinunciare a una ricompensa immediata per ottenerne di migliori dopo qualche tempo.
Tutti questi esempi ci riportano alla questione dell’intelligenza animale che oramai è riconosciuta attraverso una miriade di studi e ricerche scientifiche. I dubbi residui riguardano i meccanismi e i processi mentali con i quali gli animali riescono a risolvere i quesiti, a contare e a memorizzare. L’aspetto etologico più complicato e controverso sta proprio nel grosso rischio di umanizzarli.
Nella valutazione delle differenti specie animali, infatti, concorrono processi tipicamente umani come il linguaggio, la capacità di manipolare strumenti e il pensiero astratto. La studiosa di delfini Denis Herzing afferma che: «L’idea di intelligenza parte da ciò che sappiamo noi, e perciò tendiamo a ritenere le scimmie antropomorfe più intelligenti dei delfini, i cani o i gatti». Bisogna però aggiustare il paradigma, ricordando che sulla Terra coesistono diverse forme di intelligenza, ognuna delle quali affronta a modo proprio le sfide della sopravvivenza.
Attraverso la sua metafora, lo spiega bene nel libro Cervelli che contano (Adelphi) il direttore del Centro interdipartimentale Mente-Cervello di Rovereto, nella vicina Penisola, Giorgio Vallortigara: «L’intelligenza non è un’isola, ma un arcipelago. E quanto a dotazioni intellettuali non esiste una singola dimensione su cui collocare le varie specie». Attenzione dunque a considerare il ventaglio di manifestazioni intellettive, e soprattutto a saperle interpretare senza prendere un abbaglio o, peggio, cadere in contraddizione. Prendiamo ad esempio il cane che, di primo acchito, tendiamo a ritenere più intelligente di altre specie, dopo la scimmia.
Nel suo libro The Intelligence of Dogs lo psicologo americano Stanley Coren descrive come i cani posseggono addirittura tre tipi di intelligenza: istintiva, adattativa e di lavoro. Quella adattativa permette loro di affrontare problemi e concetti nuovi (ad esempio il border collie Chaser comprende, oltre alle parole del proprietario, singoli concetti come palla per tutti gli oggetti rotondi, ed è dunque in grado di «astrarre»). Ma qualche anno fa un esperimento compiuto in Ungheria ha dimostrato qualcos’altro: è stato mostrato ad alcuni cani come aprire un cancello e quasi nessuno, lasciato solo, lo ha poi aperto. Ci si chiede allora se i cani, al contrario di quanto afferma Coren, non siano stupidi. No: lo scienziato Vilmos Csanyi ha dimostrato che, non aprendo il cancello, i cani avevano ben compreso come si facesse, ma per agire stavano solo aspettando il permesso del padrone.
Questo è un chiaro segno del fatto che l’intelligenza pura e semplice è strettamente legata alle capacità sociali e ai sentimenti, negli animali così come negli esseri umani. E gli animali riescono anche a superarci in alcuni ambiti, come quello della memoria. Un gruppo di ricerca giapponese ha scoperto che presentando sullo schermo del computer una serie di dieci numeri per pochi decimi di secondo, uno scimpanzé ne ricorda la posizione e l’ordine, compito impossibile per un essere umano. E quanto a capacità mnemoniche possiamo considerare simili se non superiori a noi anche altri animali: come ad esempio la Ghiandaia americana (Aphelocoma coerulescens) che ricorda decine e decine di nascondigli dove ha riposto il cibo. E i pipistrelli, come il Glossophaga soricina che si nutre di nettare, che sono in grado di ricordare fino a quaranta posti visitati, per non tornare sui fiori già sfruttati.
Per non parlare della capacità di alcuni animali di «giocare con i numeri», abilità ben descritta (sempre in Cervelli che contano) da Giorgio Vallortigara e Nicla Panciera, che la riconoscono negli insospettabili: «Essa è presente anche in animali impensabili come i pulcini di gallina». Gli animali dispongono, al pari nostro, di menti raffinate e parecchi studi scientifici dimostrano sempre meglio come la capacità di risolvere i problemi sia nata in vari gruppi animali, anche evolutivamente distanti fra loro. Troviamo i «vertici dell’intelligenza» tra i mammiferi e gli uccelli (essi sono i migliori anche nel provare emozioni), in uno dei molluschi cefalopodi e in alcuni tra gli insetti sociali, come formiche e termiti.
Gli studiosi rendono però attenti che in questi ultimi non sono i singoli soggetti che risolvono i problemi ambientali, ma intere colonie. A dimostrazione che l’intelligenza può assumere differenti forme nelle diverse specie animali, e che non è necessariamente legata al linguaggio.