Il valore degli insetti impollinatori

17. ottobre 2017

Ricerca - Agroscope ha aggiornato lo studio del 2005 concernente l’impatto economico dell’impollinazione per l’agricoltura in Svizzera

Azione.ch - di Daniele Besomi - Tempo fa era stato illustrato in un articolo per «Azione» i problemi teorici e pratici insiti nella questione del valore degli insetti impollinatori in generale, e delle api mellifere in particolare (Quanto vale il volo di un’ape, «Azione 15», del 7 aprile 2014). Uno dei metodi di stima discussi in quell’articolo è stato recentemente applicato dai ricercatori di Agroscope per valutare il contributo degli insetti impollinatori all’agricoltura svizzera, aggiornando così parzialmente l’unico studio sul tema (pubblicato da altri ricercatori di Agroscope) che datava 2005.

Nello studio precedente si consideravano unicamente i frutti e le bacche, che sono impollinati in modo preponderante (80%) da insetti impollinatori. Il contributo delle api all’agricoltura veniva stimato attribuendo alle api l’80% del valore di mercato della produzione di frutta e bacche in Svizzera: dei 335 milioni ricavati dalla vendita di questi prodotti in Svizzera nel 2002, se ne attribuivano 271 alle api; questo corrispondeva a 1260 franchi in media per le circa 200mila arnie attive in Svizzera nel corso di quell’anno. In assenza di un mercato dell’impollinazione come quello presente negli Stati Uniti, dove gli apicoltori affittano le proprie arnie a frutticoltori e orticoltori in cambio di tariffe specifiche, in Svizzera l’apicoltore per questa prestazione delle sue api non incassa nulla. L’apicoltore riceve però un parziale beneficio in termini di accresciuta produzione di miele e di raccolto di polline che serve allo sviluppo delle api (e che potrebbe anche essere commercializzato). Il valore medio per arnia della produzione di miele e altri prodotti delle api in quell’anno è stato di 258 franchi, una parte dei quali erano dunque attribuibili all’agricoltura: molto meno, comunque, di quanto le api contribuiscono alla produzione di frutta.

La nuova valutazione si concentra unicamente sul contributo degli insetti impollinatori all’agricoltura e non si preoccupa dunque della remunerazione dell’apicoltore. In secondo luogo non distingue le api dagli altri insetti impollinatori: è ormai noto che l’ape mellifera contribuisce in modo determinante per certe colture mentre altri raccolti dipendono piuttosto da altri insetti (in buona parte anch’essi, come l’ape mellifera, appartenenti alla grande famiglia degli Apoidei, che in Svizzera conta circa 400 specie), tanto che si può stimare che in media le api sono responsabili solo di metà dell’impollinazione. In particolare, l’ape domestica è scarsamente attiva nei giorni più freddi e in caso di leggera pioggia, mentre alcune api selvatiche (soprattutto i bombi) lavorano anche in condizioni più proibitive, e sono dunque particolarmente importanti per le fioriture precoci – gli alberi da frutta, in particolare. 

In terzo luogo, il terzo studio considera uno spettro più ampio di prodotti agricoli: non solo bacche e frutta, ma anche colza, girasoli e i principali ortaggi. Continua però a trascurare l’impollinazione delle piante selvatiche, che tuttavia non sono un dettaglio irrilevante. In particolare anche parte delle erbe dei prati sono impollinate dagli insetti, ed è dunque grazie a loro che vi è quella diversità qualitativa nei pascoli che sta alla base della ricchezza della nostra gamma di formaggi. Lo studio tralascia anche, per mancanza di dati, alcune superfici coltivate a verdure. Il risultato che si ottiene è dunque sottostimato, ma ci dà un’idea della perdita minima in cui incorrerebbe l’agricoltura se dovessero scomparire gli insetti impollinatori. 

La procedura adottata è essenzialmente la medesima dello studio precedente, seppure più dettagliata. Il metodo è codificato in una guida a cura della FAO. Il presupposto è che, senza insetti impollinatori, le piante a fiore avrebbero un rendimento minore, in qualità e quantità. Naturalmente non tutte le piante hanno lo stesso grado di dipendenza dagli impollinatori: per alcune sono essenziali, per altre poco significativi, in una misura di cui sono già state fatte delle stime. Gli autori iniziano elencando i principali prodotti agricoli commerciali coltivati in Svizzera; a ciascuno di essi attribuiscono, sulla base di studi esistenti, un grado di dipendenza dall’impollinazione da parte degli insetti, espresso in una percentuale che indica di quanto diminuirebbe il rendimento senza insetti impollinatori; per ciascuno si calcola il valore commerciale; e di questo valore si attribuisce agli insetti la percentuale corrispondente; infine, si calcola il totale. I risultati sono riportati nella tabella qui di fianco, dalla quale risulta che il valore totale degli insetti impollinatori per l’agricoltura è di 342 milioni di franchi, con un ampio margine di incertezza incluso in una forchetta tra 205 e 479 milioni.

Se vogliamo proiettare il nuovo risultato sull’ape mellifera (come è stato fatto nel primo studio ma non nel secondo) possiamo provare ad attribuirle la responsabilità circa della metà delle impollinazioni – anche se gli autori dello studio, prudentemente, sottolineano la difficoltà del fare ipotesi precise, per cui si astengono dal formularne. In tal caso le si potrebbe attribuire un contributo di circa 170 milioni di franchi che, ripartiti sulle circa 160mila arnie presenti nel paese nel 2014, porta a poco più di 1000 franchi ad arnia. Questa cifra è minore dei 1260 franchi calcolati nello studio precedente, nonostante tenga conto di un numero più ampio di colture, perché si riconosce un’importanza maggiore agli altri insetti impollinatori.

Lo studio si sofferma anche sull’abbondanza di api rispetto alla superficie agricola occupata da piante delle specie elencate nella tabella precedente (il 5% della superficie agricola totale, che include non solo coltivazioni di cereali e altre colture impollinate dal vento, ma anche prati e pascoli). Il calcolo è effettuato comune per comune, e il risultato è riportato nella mappa (vedi sopra, tra le foto: cliccando sull'immagine si potrà leggere per intero la didascalia). Verde scuro indica le zone in cui vi è una buona copertura, verde chiaro indica una copertura sufficiente, nei comuni arancioni vi è appena la copertura minima, mentre nelle zone in rosso non vi sono sufficienti api mellifere per impollinare tutte le colture). La carta mostra che mentre la Svizzera centrale e meridionale ha api mellifere in abbondanza rispetto ai bisogni agricoli, la fascia più a nord – dal Lago di Costanza al Vallese passando per l’altipiano occidentale – è invece al limite o addirittura non è coperta da un numero sufficiente di colonie di api. In Ticino la presenza di api è ottima per gli scopi agricoli, con l’eccezione di pochi comuni. Con un’arnia ogni due ettari, il nostro cantone è infatti il più densamente popolato di api rispetto alla superficie agricola utile, dopo Basilea Città.

Una seconda mappa, che non riproduciamo, evidenzia le superfici coltivate con piante che abbisognano di insetti per l’impollinazione. Il confronto con la prima cartina mostra che le zone dove scarseggiano le api sono quelle che più ne avrebbero bisogno.  Gli autori dello studio attribuiscono ciò al fatto che sono sempre meno gli agricoltori che detengono anche qualche arnia, cosa che una volta era molto comune. Questa spiegazione non mi sembra del tutto convincente. Se fosse conveniente tenere api nelle zone con molte piante da frutta (il Vallese, per esempio), gli apicoltori lo farebbero, tanto più che i frutticoltori hanno interesse a permettere agli apicoltori di installarsi nei pressi dei frutteti. Se non viene fatto, ci deve essere qualche altro problema legato proprio a quelle zone: si può forse congetturare la scarsità di altri raccolti, che sia a causa della conformazione del territorio o di un eccessivamente intenso uso del territorio da parte dell’agricoltura, o magari l’uso eccessivo di pesticidi in quelle aree. 

Gli autori concludono osservando che la scarsità di api mellifere nelle zone che hanno bisogno di impollinatori suggerisce che è necessario facilitare quanto più possibile l’insediamento di api selvatiche, fornendo loro opportuni siti di nidificazione e fonti di cibo anche per il resto della stagione, al di là di quel paio di settimane di fioritura delle colture. Tuttavia non sono disponibili dati sufficientemente precisi per identificare con certezza le zone problematiche (i dati per comune potrebbero essere ingannevoli per quelli grandi in cui le api sono su un lato e le colture che abbisognano di loro sono sull’altro, oltre il raggio di azione delle api), per valutare se la scarsità di api comporti effettivamente delle perdite di rendimento nelle zone rosse della cartina, ed eventualmente per formulare dei piani d’azione concreti. È senz’altro auspicabile che vengano condotti nuovi studi in questo senso e che vengano pubblicate ubicazione e consistenza degli apiari: se c’è un incentivo che può indurre ad agire concretamente per la protezione di specie vulnerabili, come lo sono molte api selvatiche, è proprio quello finanziario. 

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