Beate le città che avranno tanti alberi
20. marzo 2018
Cooperazione.ch - Appuntamento con l’arboricoltore Antonio a Marca alle 8.30 sotto i Ginkgo biloba sulle rive del Verbano, in via Ciseri a Locarno. Non alberi qualsiasi, ma i più maestosi della Svizzera. Uno di questi ha una circonferenza di 5,06 metri e figura nella lista internazionale dei monumental trees. Ora sono spogli, ma in autunno questi “fossili viventi”, chiamati così perché gli unici superstiti di un’antichissima famiglia di alberi, ci ammaliano con le loro foglie giallo oro. «Uno spettacolo queste piante ultracentenarie in città. Guarda le protuberanze al tronco: le chiamiamo “mammelle” e sono un segno di anzianità» racconta a Marca.In questo periodo sta curando i due Ginkgo biloba, perché attaccati da un fungo. «Impieghiamo un “controfungo” naturale, un tricoderma elaborato dall’Empa di San Gallo, e abbiamo sparso dello sminuzzato di rami attorno ai tronchi per nutrirlo e migliorare la struttura del terreno. Se nel bosco ci pensa la natura, in città invece gli alberi vanno seguiti con attenzione per mantenerli in equilibrio».
La vita di un albero cittadino
Ma quanto vive un platano o un tiglio a bordo strada? Dai 50 agli 80 anni, al massimo la metà degli anni di uno cresciuto in un parco cittadino. Gli elementi stressanti sono tanti: dal compattamento del terreno al poco spazio per l’apparato radicale, dal sale stradale ai tubi di ogni genere nel sottosuolo, dagli atti di vandalismo fino alle auto che si schiantano contro. Senza dimenticare i fattori climatici, come il rialzo della temperatura media e il prolungamento dei periodi di siccità. Ergo: l’albero cittadino richiede molta più protezione e cura della pianta che cresce in un ambiente naturale.
Da qui la richiesta dell’intervento di specialisti per valutare “l’albero giusto al posto giusto, con la gestione giusta”. Una di queste figure è l’arboricoltore, quello che si arrampica nella chioma in stile tree-climbing. «Il boscaiolo in città sarebbe come un elefante in una cristalleria», aggiunge scherzosamente a Marca, lui che segue ogni anno centinaia di alberi in città e che con i suoi ragazzi ha potato oltre 6.000 castagni nella Svizzera italiana. Entra in gioco anche quando si tratta di analizzare, con l’aiuto del tomografo sonico tridimensionale, lo stato di salute di un albero. E non è affatto l’uomo dalla motosega facile. «Io lavoro tutti i giorni con gli alberi, è come la gente che ti sta vicino: ti affezioni! So che gli alberi ci mettono una vita a crescere, fai di tutto prima di tagliarli».
I benefici
A fronte dei rischi ai quali è esposta la pianta in città, Christian Bettosini, capo del verde di Lugano, elenca i benefici per l’uomo e l’ambiente. «Sono molteplici: di abbellimento dell’arredo urbano, di filtro dell’aria, di stoccaggio del biossido di carbonio (CO2) e dell’acqua, di regolatore della temperatura tramite la traspirazione naturale – che può raggiungere i 500 litri di acqua al giorno –, dell’ombreggiatura, della protezione del suolo dalla forte pioggia, della biodiversità, dell’attenuare il rumore. A questi si aggiungono conseguenze sociali e salutari riassumibili in effetti “anti-stress”». Un’azione, quest’ultima, difficilmente misurabile, ma non impercettibile. In tale contesto, il comune di Lugano, e sarebbe il primo in Ticino, è in attesa della decisione se poter allestire, tramite un progetto Interreg, un programma che monetizzi le funzioni e le prestazioni del verde urbano, simile all’i-Tree del Forest Service statunitense.
«Rimane in ogni caso la constatazione, che la città è per definizione ostile agli alberi e che i compromessi sono inevitabili. Il nettare dei fiori del tiglio, ad esempio, piace ad api e afidi, meno agli automobilisti quando si trovano la melata prodotta dagli afidi appiccicata sul parabrezza.
Insomma, la pianta perfetta non esiste. Ma le nuove tecniche migliorano “l’essere pianta” in città e noi sappiamo come si comportano» conferma Bettosini. Un esempio? Il bagolaro che attualmente viene piantato in viale Castagnola a Lugano.
Amico albero
Parlando di alberi in città si dimentica facilmente le forme di vita ad essi legata. «Troppo spesso vengono ufficialmente nominati “infrastruttura verde”, quando in altri ecosistemi si parla di “habitat albero”. Come per l’ape è un prato fiorito, per coleotteri, cince e muschi l’ambiente vitale è l’albero» risponde Marco Moretti, biologo dell’Istituto federale di ricerca per la foresta, la neve e il paesaggio WSL di Birmensdorf (ZH). Già, e poi mettiamo le cassette per gli uccelli, così possiamo sentire il loro cinguettare, perché non ci sono gli alberi con le loro cavità per ospitarli… Insomma, gli alberi in città posso essere visti come un’estensione verticale del verde urbano, fonte di vita per gli insetti erbivori che si nutrono delle foglie, gli impollinatori che cercano il nettare, i predatori che controllano gli insetti nocivi. Anzi, uno studio del WSL ha dimostrato che due tipi di api selvatiche del genere Osmia raccolgono soprattutto polline di acero e quercia, e solo in un secondo momento di fiori prativi. Un’altra loro ricerca ha rilevato che se il 40% di un’area verde urbana è alberato, il numero di specie di uccelli aumenta di oltre il 50%.
Ci sono piante più “accoglienti” di altre? «Sì, specie dal legno più morbido, come il pioppo, piacciono di più ai picchi; il frassino, dalle foglie ricche di azoto, agli erbivori; il tiglio con il nettare dei suoi fiori alle api… Tutti questi organismi assieme formano la biodiversità in grado di proteggere l’albero, di mantenerlo sano e di offrire un grande condominio per numerose specie». Moretti, inoltre, invita a considerare anche i rami secchi quale habitat per insetti, licheni e muschi. «Nella gestione degli alberi nei parchi cittadini è auspicabile lasciare del legno morto a terra. Sarà presto colonizzato da numerosi organismi facili da osservare per chi desidera esaminare la biodiversità anche stando in città» conclude il ricercatore.
Una nuova estetica
Un aspetto, quest’ultimo, condiviso pure da Roberto Buffi, ingegnere forestale che si occupa anche del benessere psico-fisico, aggiungendo un altro pensiero. «La parte senescente dell’albero è sempre quella che manca di più» osserva Buffi. «È lo specchio di una società che non vuole vedere certe fasi naturali della vita. Certo, in città non possiamo tenere un albero morto in piedi, è una questione di sicurezza, ma un tronco secco per terra o un mucchio di rami secchi sì».
Buffi parla quindi di un’estetica nuova da scoprire, più spontanea e anche meno costosa. «Alla gente piace intervenire, manipolare, lo si vede dalle piante capitozzate. Gli alberi, invece, specie quelli più grandi, vanno seguiti con competenza. La superficie verde, poi, se gestita in modo più estensivo, costa meno e favorisce la biodiversità». Il ricercatore locarnese in psicologia del rapporto uomo-natura constata una maggiore cultura dell’albero più al Nord delle Alpi che al Sud. Lo spiega con il fatto che nella cultura nordica la visione precristiana della natura è rimasta più vicina. «Non pensiamo ancora abbastanza al futuro nella gestione degli alberi e del verde in generale, per sostenere così una vita sana nelle aree urbane. Il clima si riscalda, in estate i quartieri saranno torridi: beate le città che hanno e avranno tanti alberi» conclude Roberto Buffi.