Una maxi batteria fatta di aria
12. agosto 2016
Swissinfo.ch - Un progetto unico al mondo che potrebbe dare uno slancio decisivo alle energie rinnovabili. E riaffermare il ruolo della Svizzera di batteria d’Europa.
Conservare il surplus energetico prodotto dalle centrali solari ed eoliche: è tra le sfide principali della svolta energetica verso fonti rinnovabili. Sole e vento producono infatti elettricità in modo irregolare. Capita così di disporre di molta corrente in periodi di bassa richiesta. Come sfruttarla?
La risposta di Giw Zanganeh, giovane ingegnere laureatosi al Politecnico federale di Zurigo, si basa sull’aria compressa. E più precisamente sull’immagazzinamento dell’aria in gallerie e spazi scavati nella montagna.
Il principio è semplice, spiega il responsabile di Alacaes, un progetto sostenuto dall’Ufficio federale dell’energia. «Con l’energia in eccesso si fa funzionare un compressore, che pompa l’aria nel cunicolo. Nei momenti di bisogno s’inverte il flusso e l’aria ad alta pressione viene fatta circolare in una turbina e convertita in elettricità».
Ambiente sottomarino nella caverna
Per l’impianto pilota di Alacaes, costato 4 milioni di franchi, è stato scelto un tunnel in disuso a nord di Biasca, in Ticino. Fino a pochi anni fa, serviva per trasportare il materiale di scavo della galleria ferroviaria di base del San Gottardo, inaugurata di recente.
«Il cunicolo è come l’abbiamo trovato», ci dice Giw Zanganeh, guidandoci all’interno del tunnel. A bordo della sua automobile, avanziamo per circa 700 metri nel buio più assoluto prima di imbatterci in due voluminosi apparecchi. Sono i compressori utilizzati per pompare l’aria nella caverna. «Si tratta di compressori speciali. È una nuova tecnologia», sottolinea l’ingegnere di origini iraniane. Poco più in là, accediamo alla sala di accumulo dell’aria da una porta rivestita in acciaio.
Nella sezione lunga un centinaio di metri, l’aria viene compressa a 33 bar. Per farsi un’idea, corrisponde alla pressione dell’acqua a 300 metri di profondità. Lavorare in queste condizioni estreme è tra le difficoltà maggiori, osserva Giw Zanganeh. Per monitorare l’impianto, ad esempio, sono state installate speciali telecamere utilizzate per i lavori sottomarini.
Scopo della fase test di questi mesi è studiare la reazione della roccia a pressioni elevate. Testare la sua impermeabilità e la presenza di eventuali vibrazioni. Contrariamente agli impianti geotermici, puntualizza l’ingegnere, il rischio di provocare dei terremoti è praticamente nullo poiché la roccia non viene perforata.
Calore nei sassi
Gli impianti di stoccaggio dell’energia tramite aria compressa (tecnologia CAES, Compressed Air Energy Storage) non sono una novità. Il primo è stato costruito in Germania nel 1978, il secondo è entrato in funzione negli Stati Uniti all’inizio degli anni Novanta. Ma rispetto a questi due, realizzati in miniere di sale, il progetto pilota di Biasca ha un rendimento maggiore, afferma Giw Zanganeh. «La ragione sta nel recupero del calore».
Quando l’aria viene compressa, la temperatura aumenta. È un fenomeno fisico. L’aria può raggiungere i 550 °C, troppi per poterla immettere nel sottosuolo senza pericoli. In Germania e negli Stati Uniti, questo calore viene dissipato. Giw Zanganeh - ed è qui una delle innovazioni del progetto Alacaes - ha invece concepito un sistema per conservare quest’energia ed utilizzarla durante la fase di conversione dell’aria in elettricità. $
Grazie alla gestione del calore, il progetto di Biasca ha un rendimento del 72%, contro il 45-50% degli impianti esistenti, sottolinea Giw Zanganeh. «Ci avviciniamo all’efficienza dei sistemi di pompaggio-turbinaggio delle centrali idroelettriche. Siamo però meno costosi e più sostenibili dal punto di vista ambientale. Non bisogna intervenire sul territorio per realizzare dighe e laghi di accumulazione».
Sistema promettente, ma da perfezionare
«Oltre al basso impatto ecologico, il ricorso all’aria compressa potrebbe garantire l’erogazione di grandi quantitativi energetici per un periodo prolungato. Un’esigenza che in futuro diventerà sempre maggiore», afferma Maurizio Barbato, professore all’Istituto CIM per la sostenibilità dell’innovazione della Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana.
Tuttavia la tecnologia, e più precisamente quella dell’immagazzinamento termico, non è ancora matura, puntualizza Maurizio Barbato, che sta seguendo da vicino l’esperimento di Biasca nel quadro di un programma del fondo nazionale di ricerca (PNR70). L’utilizzo dei sassi, spiega, non garantisce di avere aria a una temperatura costante in uscita, una condizione indispensabile per il corretto funzionamento delle turbine. Con il Politecnico federale di Zurigo e quello di Losanna (EPFL) si sta ora studiando come perfezionare il sistema, ad esempio utilizzando delle leghe metalliche.
La tecnologia di Alacaes è molto interessante, concorda Sophie Haussener, ricercatrice del Laboratorio della scienza e dell’ingegneria dell’energia rinnovabile dell’EPFL. «Il suo limite è forse quello della densità energetica, relativamente bassa: la quantità di energia che può essere immagazzinata per un’unità di volume è 5-10 volte più piccola rispetto a quella di una batteria ricaricabile».
Il consumo di Lugano in un cubo
In un’Europa, soprattutto al nord, che produce sempre più elettricità con il vento, un impianto ad aria compressa potrebbe avere un grande potenziale. Idealmente, commenta Maurizio Barbato, questa “maxi batteria” dovrebbe trovarsi in prossimità dei parchi eolici. «Ma per quelli di pianura, come nel nord della Germania, è complicato. Bisognerebbe collocarla a centinaia di metri di profondità o costruire costosi depositi a tenuta stagna in superficie». Un paese di montagne, caverne e gallerie come la Svizzera, aggiunge, può dunque svolgere un ruolo rilevante.
Ai tunnel e ai vecchi bunker militari scavati nella Alpi, Giw Zanganeh crede però poco. I bunker sono in generale troppo piccoli e la forma allungata di una galleria non è la più indicata per minimizzare le perdite. Meglio un cubo o una sfera, che hanno un rapporto superficie/volume più piccolo. L’ingegnere ha fatto il calcolo: «Un cubo di 48 metri di lato permetterebbe di immagazzinare 500 MWh di energia. È il consumo della città di Lugano [circa 70'000 abitanti] per 12 ore».
Se i test di Alacaes daranno buoni risultati, sottolinea, la Svizzera potrà riaffermare il suo ruolo di batteria d’Europa. E contribuire alla stabilizzazione della rete europea compensando le fluttuazioni dell’energia eolica e solare del continente.
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