Come il Giappone è sopravvissuto senza centrali nucleari

24. novembre 2016

L’iniziativa per l’abbandono del nucleare, su cui gli aventi diritto di voto in Svizzera si esprimeranno il 27 novembre 2016, vuole limitare il periodo di attività delle centrali atomiche esistenti, ma anche promuovere le rinnovabili e il risparmio energetico. In Giappone l’incidente di Fukushima ha costretto il paese a rinunciare al nucleare quasi da un giorno all’altro. Una misura importante è stato il taglio dei consumi del 20%. Le spiegazioni di un esperto

Prima dell’incidente dell’11 marzo 2011, in Giappone erano in funzione 54 centrali atomiche. Colpiti dal terremoto e dal successivo tsunami, quattro reattori a Fukushima sono stati messi immediatamente fuori servizio. Poi, a poco a poco, le altre 50 centrali sono state spente per essere sottoposte a controlli. Nel maggio del 2012 il Giappone ha quindi vissuto questo momento straordinario senza centrali atomiche, per la prima volta dopo 42 anni di sfruttamento dell’energia nucleare. 

Nella stessa occasione, una nuova Commissione per la sicurezza nucleare è stata incaricata di stabilire regole più severe per l’esercizio delle centrali nucleari. Nessuna centrale poteva essere riaccesa senza l’autorizzazione della commissione. E in effetti è stato solo dopo la vittoria del partito liberal-democratico (favorevole all’energia atomica) che nell’agosto 2015 il primo reattore della centrale di Sendai è stato riattivato, seguito da un secondo reattore tre mesi dopo.

Oggi nel paese asiatico sono in funzione tre centrali nucleari, nonostante le continue proteste della popolazione. Solo a Tokyo tra le 4’000 e le 10'000 persone manifestano tutti i venerdì la loro opposizione al nucleare, fin dall’aprile 2011. Un sondaggio realizzato nel marzo 2016 dal quotidiano Asahi Shimbun indica che cinque anni dopo Fukushima il 60% della popolazione non vuole le centrali nucleari.

Per raggiungere questo obiettivo le soluzioni ci sono. Soluzioni del resto già praticate nell’arcipelago negli scorsi anni, come spiega Tetsunari Iida, fisico, esperto in energia, sia nucleare che rinnovabile, e partigiano di una svolta energetica nel suo paese.

swissinfo.ch: Come ha fatto il Giappone a rimpiazzare la sua energia nucleare?

Tetsunari Iida: Per rimediare alla repentina sparizione dell’energia nucleare, che prima della catastrofe forniva il 30% dell’elettricità del paese, si è fatto ricorso all’energia prodotta soprattutto con il gas e in minima parte con il petrolio.

Ma anche la produzione di energie rinnovabili e i risparmi energetici hanno avuto un ruolo importante in questi ultimi cinque anni. Il risparmio di elettricità, in particolare, rappresenta la migliore alternativa al nucleare.

swissinfo.ch: Concretamente, come ha fatto il Giappone a risparmiare così tanta elettricità?

T. I.: Durante i primi due anni sono stati necessari grandi sforzi. Dato che non avevamo ancora le capacità necessarie, tutti i giapponesi hanno sofferto per risparmiare elettricità. Il governo ha ordinato alle imprese con consumi superiori ai 500 kW di corrente di diminuire i loro consumi del 15% rispetto all’anno precedente nella fascia oraria tra le 8 e le 18.

L’attività di alcune fabbriche è stata interrotta, negli uffici si è ridotta l’illuminazione e numerosi ascensori e scale mobili sono rimasti fermi. Le grandi compagnie elettriche diffondevano anche un «meteo dell’elettricità» per informare le persone sulla quantità di corrente elettrica consumata da ogni stabilimento.

Nel 2011 nella regione di Tokyo, che è il feudo della compagnia Tepco [proprietaria della centrale di Fukushima], si è arrivati a risparmiare il 20% dell’elettricità in estate, la stagione in cui i consumi sono più elevati.

Dall’anno successivo il Giappone si è abituato a economizzare l’elettricità e ha capito che si poteva fare facilmente, con mezzi semplici. Nella prefettura di Tokyo, per esempio, il governo e i proprietari di grandi immobili sede di uffici, responsabili del 60-70% del consumo di elettricità durante il giorno, hanno elaborato insieme delle soluzioni.

swissinfo.ch: Ad esempio?

T. I.: La prima consiste nell’aumentare la temperatura della climatizzazione a 28 gradi invece che 26-27. La seconda prevede una diminuzione della luminosità: l’illuminazione di tutti gli uffici di Tokyo è stata diminuita da 1500 lux a 300 lux, norma già iscritta nella legge ma generalmente disattesa prima dell’incidente. Per arrivarci si sono soppressi dei neon superflui. Queste due misure hanno abbattuto i consumi del 40-50%. La ciliegina sulla torta è il fatto che questo risparmio di energia va di pari passo con il risparmio di soldi! Tuttavia dal 2015 il Giappone è diventato meno ambizioso nei suoi obiettivi di risparmio energetico.

Parallelamente, abbiamo anche aumentato massicciamente la nostra produzione di energia solare: in estate a mezzogiorno possiamo contare su 20 milioni di kW di energia solare, il che corrisponde al 10% della capacità energetica totale del paese.

Dunque dall’estate 2011 all’estate 2016 il Giappone è riuscito a economizzare ogni anno il 20% di elettricità rispetto al 2010. Nel 2015 e nel 2016 questi risparmi sono diminuiti al 10%, ma la differenza può essere compensata con l’energia solare.

 swissinfo.ch: Più in generale, qual è la situazione delle energie rinnovabili in Giappone?

T. I.: Le energie rinnovabili coprono il 14,5% di tutta la produzione di elettricità del paese. L’8% proviene dalle centrali idroelettriche, il 6% dal sole e il resto dal vento e dalla biomassa.

Tuttavia le grandi compagnie elettriche che possiedono la rete di distribuzione non sono favorevoli alle energie rinnovabili. E questo è un grande problema in Giappone. La popolazione dal canto suo ha cominciato a produrre energia solare e a consumarla per conto proprio. È un sistema «off grid» e penso che il suo futuro sia promettente. 

Chi è Tetsunari Iida?  
Diplomato in fisica all’università di Kyoto, Tetsunari Iida ha lavorato nell’industria nucleare e nella Commissione governativa per la sicurezza nucleare. Nel 2000 si è recato in Danimarca per studiare la produzione di energia eolica da parte dei cittadini danesi. Di ritorno in Giappone ha creato l’istituto ISEP (Institute for Sustainable Energy Policies) e lavora alla promozione della produzione di energie rinnovabili in modo democratico e decentralizzato, attraverso la creazione di reti di cittadini, di nuovi modelli sociali e di nuove regolamentazioni. 

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